Facciamo luce sul darkweb – quinta parte

FREENET: il P2P a prova di censura

Delle tre darknet fin qui discusse, Freenet è certamente quella che popola le zone più “oscure” e profonde del Dark Web: la rete è nata 18 anni orsono ed è stata pensata come una piattaforma di condivisione P2P delle informazioni in grado di garantire una robusta resistenza a qualsiasi tentativo di censura.

Su Freenet non esiste infatti alcun “server” da buttare giù, tutti gli utenti che partecipano al network mettono a disposizione una quantità variabile di spazio sul disco fisso su cui verrà salvata una porzione di tutti i dati in circolazione sulla rete. Quando viene “pubblicato” un documento o un sito Web su Freenet, i file corrispondenti vengono “spezzettati” e condivisi con gli altri nodi della rete, salvando diverse copie su nodi diversi per migliorare la ridondanza e l’accessibilità. L’utente non ha alcuna capacità di controllo sul modo in cui vengono pubblicati e archiviati i pacchetti di dati, e non esiste alcuna possibilità di accesso anonimo alla Clearnet passando per i nodi di Freenet.

Un “secondo livello” ancora più sicuro di Freenet è poi riservato agli utenti che si conoscono e si fidano l’uno dell’altro, e che decidono di collegarsi in via manuale.

Più che una darknet Freenet è insomma una rete P2P per la condivisione al riparo da interventi esterni, anche se le prestazioni tendono a essere peggiori rispetto sia a I2P che a Tor: Freenet è programmata in Java (come I2P), e “succhia” un certo quantitativo di banda di rete (oltre che di spazio su HDD) a beneficio di tutti gli altri partecipanti. La console di accesso è gestita via Web, e la navigazione nei contenuti presenti negli indici disponibili pubblicamente richiede un bel po’ di pazienza soprattutto durante le prime ore di utilizzo.

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